(Tratto dalla Prefazione del libro How to be a Linkedin Hero)

Ho sempre avuto un rapporto problematico con l’autorità.

Credo che i bambini, dopo qualche giorno di scuola, accettino il fatto che esiste la scuola dell’obbligo e che per 9 mesi all’anno passeranno la mattina in una stanza con delle insegnanti e dei compagni di classe.

Io no.

Fino al liceo ho continuato a percepirlo come un’ingiustizia, un’imposizione.

Io non ho firmato niente” mi ripetevo.

Tutto questo probabilmente perché per 7 anni sono stato figlio unico, e non essendo uno squilibrato di indole, i miei mi hanno permesso di fare più o meno quello che mi pareva.

Proprio a 7 anni ho litigato furiosamente con mio cugino più grande, mentre ero in vacanza in campagna.

Quel pomeriggio era partita una escalation di ripicche tra me e lui, per avere l’ultima parola.

Le ripicche sono finite quando ho preso della colla liquida e ho attaccato sulla porta di camera sua un foglio con su scritto “Sono Scemo”, rovinando però per sempre il legno della porta.

A quel punto i miei hanno deciso che era un po’ troppo.

Mi hanno chiuso a chiave in camera, al primo piano, per farmi dare una calmata.

(scelta condivisibile)

Ma anche lì, il mio unico pensiero è stato: “Questa è un’ingiustizia, io qui dentro non ci sto”.

Non mi sembrava il caso di sfondare la porta.

Perciò mi sono buttato dalla finestra.

Il bello è che invece di fracassarmi le ginocchia, ho scoperto che sapevo atterrare da 2 metri e mezzo di caduta.

A 7 anni.

Immaginate la faccia di mio padre, quando 5 minuti dopo avermi chiuso a chiave in camera, mi ha visto spuntare tranquillo dal giardino.

Cosa poteva fare?

Si è messo a ridere.

E cos’altro può fare l’autorità di fronte a comportamenti del genere, se non accettare sportivamente la sconfitta e farsi una risata?

E’ esattamente questo che succede quando ti trovi davanti un hacker.

Ma cerchiamo di capire cosa significhi davvero “hacker”.

Un hacker è un problem solver compulsivo.

Un hacker sperimenta una botta di dopamina nel momento in cui si rende conto di aver risolto un problema, non per il beneficio intrinseco della soluzione.

Un hacker “gode” semplicemente per aver battuto il sistema, non tanto per il fatto che, facendolo, gli sono entrati in tasca 10, 100, 1000 o 10.000 euro.

Non solo: è qualcuno che risolve problemi che spesso appaiono privi di soluzioni.

Pensa all’hacker classico. Quello da film di fantascienza anni 90. Che lavora da casa e muove le dita su più tastiere alla velocità della luce.

Un computer hacker è qualcuno che utilizza uno strumento, il PC, per fare un qualcosa che si presuppone lo strumento non sia in grado di fare.

Chi ha progettato il PC si è guardato bene dal mettere un pulsante sulla tastiera che recita “Clicca qui ed entra illegalmente nel PC di qualcun altro”.

Non c’è stato nessun designer di prodotto che ha creato un flusso per svolgere questa funzione.

E non c’è stato nessun ingegnere che ha passato mattine, pomeriggi e sere per inserire una nuova feature che permettesse di fare ciò che l’hacker, di fatto, fa.

Eppure? Questo non basta a fermarlo.

Questi lavora con gli strumenti che ha a disposizione e, nonostante il contesto, i mezzi e le regole, riesce in qualche modo ad arrivare all’obiettivo.

E questo tipo di approccio può essere utilizzato in qualsiasi settore o scenario.

Il processo di “hacking” in senso lato può essere spezzato in 3 fasi.
 

  • Studiare il Sistema

 

  • Sperimentare

 

  • Fregare il Sistema

 

Studiare il Sistema:

Da un lato l’hacker propone soluzioni con la stessa ingenuità candida di un bambino. Dall’altro è un ricercatore meticoloso.

Infatti un hacker, prima di ignorare le regole, si assicura di conoscerle ancora meglio di chi le segue ciecamente.

Come direbbe Einstein:

“Prima devi conoscere le regole del gioco. Poi devi giocare meglio di tutti gli altri.”

Tim Ferris è un imprenditore e un autore di diversi best-seller in cui dimostra le sue skill da “Life Hacker”.

Ad esempio racconta come è diventato medaglia d’oro dei Campionati Nazionali di Kickboxing in Cina senza avere nessuna esperienza di combattimento agonistico.

Ha studiato a fondo il regolamento del campionato, e ha costruito delle strategie ad hoc basate sulle scappatoie individuate.

Scappatoia #1:

Gli atleti vengono pesati il giorno prima dell’incontro. Grazie a tecniche di disidratazione Tim è riuscito a perdere 12 kg nel giro di 18 ore. Giusto in tempo per pesare 74kg ed essere approvato al match.

Subito dopo è tornato a 87kg per presentarsi sul ring con un fisico di 3 classi di peso superiore a quella dell’avversario.

Scappatoia #2:

Il KO tecnico, o TKO. Secondo il regolamento ufficiale, se un combattente cade oltre il limite del ring per 3 volte durante lo stesso incontro questi ha automaticamente perso.

Tim si è limitato a vincere i campionati spingendo gli avversari giù dal ring per 3 volte durante il match.

Ovviamente la giuria non è stata la più entusiasta della storia dei Campionati di Kickboxing Cinesi.

Ma le regole parlano chiaro.

O no? 🙂

Sperimentare:

Visto che “fare hacking” significa muoversi in un territorio spesso ignoto e privo di best practice, non può mancare una fase di sperimentazione.

Un hacker non può pianificare.
Perché sa -dove- sta andando, ma non sa ancora -come- potrà arrivarci.

L’unico piano chiaro in partenza è “devo portare questo risultato”.

Dopo di che, ogni mezzo che fa gioco, ben venga nel suo arsenale.

Nel mondo delle startup e in generale dell’innovazione, sperimentare spesso è la regola.

Di certo lo è nel mio mestiere: il growth hacking.

In Silicon Valley ho avuto la fortuna di conoscere Dave McClure, il fondatore di 500startups, che è il fondo di VC più attivo al mondo in termini di investimenti in startup.

La sua definizione di startup incarna proprio questo principio:

“A brute force approach to miracles”

Ovvero

“Un approccio forza bruta ai miracoli”

L’approccio “forza bruta” è un metodo per penetrare in sistemi informatici che proviene dall’hacking (quello vero).

In poche parole: si tratta di tentare tutte le password possibili finchè non azzecchi quella giusta.

Fregare il Sistema:

Ultimo step: mettere in pratica la soluzione vincente. Questo sarebbe il miracolo.

Quando parlo di battere il sistema al suo stesso gioco, non parlo di illegalità.

E’ proprio questa la differenza tra hacker “whitehat”, dal cappello bianco, e “blackhat” dal cappello nero.

Niente di ciò che leggerai in questo libro ti spiegherà come mettere in campo azioni illegali o ti inviterà a farlo.

Ma ci sono diversi tipi di regole.

Regole dell’algoritmo, regole di condotta, regole di neuromarketing, regole sulle condizioni d’uso di un servizio scritte da una società privata quotata in borsa.

Andando avanti a leggere scoprirai che piegarne alcune, senza infrangere la legge, potrà portarti GRANDI benefici.

Ora veniamo alla domanda da un milione di dollari.

Questa mentalità è un temperamento di natura personale o una skill che può essere insegnata e sviluppata?

Rispondere non è così facile.

Negli ultimi anni il cosiddetto “Pensiero Laterale” ha assunto sempre più rilevanza in ambito professionale.

Sotto forma di spirito imprenditoriale pro-attivo, problem solving creativo, o mindset da hacker, si è fatto strada fra le soft skill richieste dai dipartimenti HR di startup e multinazionali.

Questo ha fatto sì che nascessero studi approfonditi sul tema, e addirittura contenuti formativi su come prendere spunto e applicarlo agli scenari più disparati.

Ma credere che chiunque possa acquisire una mentalità “hacker” partecipando ad un corso, sarebbe come credere che basti seguire la stessa routine di allenamento di Connor McGregor per avere gli stessi identici risultati.

Ci si può lavorare.

Ma sopratutto, non è un qualcosa che puoi accendere e spegnere a comando, applicandolo solo al business o alla tecnologia e non a tutto il resto della tua vita quotidiana.

Chi è nato hacker, lo sa bene.

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